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Questo blog nasce per pura curiosità e per qualche insegnamento molto superficiale, la radioattività è un argomento molto complesso e vasto e difficile da capire se non si hanno le basi; questo blog cerca di "insegnare" queste piccole basi molto semplicemente! In oltre, parliamo di notizie recenti e non, riguardanti la radioattività cercando di essere i più concreti e semplici possibili...

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venerdì 30 dicembre 2011

Il K19 "Hiroshima"

La sua costruzione ebbe inizio il 17 ottobre 1958 ed il varo avvenne l'8 aprile 1959.
Il sottomarino fu soprannominato "Hiroshima" poiché sin dagli inizi era apparso estremamente a rischio: era complesso da maneggiare, l’equipaggio non era sufficientemente addestrato e usava un combustibile tossico e corrosivo. Inoltre durante la sua costruzione si erano succedute svariate morti: era stato rifinito nel 1961 in tutta fretta, forse sotto pressioni politiche; vi era infatti la necessità di contrastare l’azione perlustrativa dei sottomarini americani.
Le vicende del K-19, primo SSBN sovietico, sono particolarmente note nella casistica degli incidenti dei sottomarini, in quanto l'esigenza di schierare rapidamente il battello, simbolo di potenza strategica, mise in secondo piano i requisiti di sicurezza e determinò una serie funesta di avarie e malfunzionamenti. Già nel corso della sua prima missione si registrò l'avaria di una delle pompe del refrigerante del reattore nucleare, che causò la fuoriuscita di materiale radioattivo e di conseguenza la contaminazione di alcuni membri dell'equipaggio. Un'avaria al circuito di raffreddamento nel luglio del 1961 determinò il surriscaldamento incontrollato del reattore. La fusione catastrofica fu evitata grazie al sacrificio di alcuni uomini dell'equipaggio che ripararono il circuito esponendosi a dosi letali di radiazioni. Un altro incidente nel 1972 determinò un incendio che causò la morte di 28 marinai. Nonostante queste e altre disavventure, il sottomarino restò in servizio fino al 1991.

L'incidente del Luglio 1961

Il 4 luglio 1961, al comando del Capitano di primo rango, il K-19 stava conducendo delle esercitazioni nell'Atlantico settentrionale, non lontano dalle coste orientali degli Stati Uniti. Dopo un'esercitazione, che prevedeva l'immersione sino a 400 metri di profondità, per via delle pressioni subite l'antenna di onde lunghe a bassa frequenza (quelle per trasmissioni a medio e lungo raggio) si ruppe. Mentre venivano completate le ultime esercitazioni un'avaria alle pompe di raffreddamento provocò l'abbassamento della pressione dell'acqua nel reattore di poppa. Un incidente indipendente disabilitò il sistema di comunicazioni radio a lungo raggio, ed impedì al sottomarino il contatto con Mosca. La temperatura del reattore aumentò in modo incontrollato, raggiungendo gli 800 °C — quasi il punto di fusione delle barre di combustibile nucleare — e la reazione nucleare continuò nonostante le barre di controllo fossero state inserite attraverso il sistema SCRAM. Il reattore continuò a riscaldarsi poiché il refrigerante era necessario anche durante lo spegnimento finché le reazioni non fossero diminuite. Questa avaria rischiò di provocare la fusione del nocciolo, la quale avrebbe provocato una massa critica autonoma abbastanza calda da perforare lo scafo e provocare l'affondamento del mezzo. Nonostante le richieste di Zateyev e di altri ufficiali, non era stato installato a bordo un sistema di raffreddamento secondario.
Per riparare il reattore servirono otto uomini, organizzati in squadre da due che restavano solo dieci minuti nelle vicinanze del reattore. Poiché il sottomarino non possedeva a bordo tute antiradiazioni, ma solo tute di protezione contro agenti chimici, si sarebbero sicuramente contaminati in modo letale. Ma il gruppo dei riparatori non era a conoscenza di questo rischio. Essi infatti pensavano che le tute li avrebbero protetti anche contro la contaminazione. I vapori che vennero rilasciati contenevano prodotti di fissione radioattivi, e si spansero nel sistema di ventilazione, attraverso le altre sezioni del sottomarino. Il sistema di raffreddamento riparato funzionò, ed impedì la catastrofe. Questo incidente contaminò l'equipaggio, parte del sottomarino e alcuni missili balistici presenti a bordo; l'equipaggio ricevette dosi di radiazioni considerevoli e tutte le otto persone che facevano parte del team di riparazione morirono di avvelenamento da radiazioni entro una settimana, e altre venti persone entro pochi anni. Il capitano decise di dirigersi a sud per incontrare dei sottomarini che dovevano essere li, invece di continuare la rotta prevista dalla missione. Zateyev, preoccupato di un ammutinamento, fece gettare in mare tutte le piccole armi presenti a bordo, tranne cinque pistole distribuite agli ufficiali più fidati.
Le navi da guerra statunitensi ricevettero la trasmissione e offrirono aiuto, un evento raro durante la guerra fredda. Tuttavia Zateyev, spaventato dalla caduta in mani nemiche di segreti militari sovietici, rifiutò e decise di incontrarsi con l'S-270. L'equipaggio del K-19 venne evacuato e il sottomarino venne trainato alla base. Dopo esservi giunto, il K-19 contaminò una zona di 700 metri di raggio. I reattori danneggiati vennero rimossi e sostituiti, una procedura che durò due anni. Durante questo periodo si registrarono ulteriori contaminazioni da radiazione nell'ambiente circostante e tra i lavoratori.
Durante il processo di riparazione, venne scoperto che la catastrofe fu causata da una goccia di elettrodo da saldatura, che cadde nel circuito di raffreddamento primario del reattore di poppa dopo la sua costruzione. Il K-19 tornò nella flotta, con il nuovo soprannome di "Hiroshima".
L’incidente non piacque ai vertici di Mosca: non venne data nessuna medaglia ad ufficiali e marinai poiché l’eroismo non era dovuto ad azione di guerra; il comandante venne processato e sebbene assolto non divenne mai più comandante di nessuna imbarcazione. Fu inoltre dato l'ordine di mantenere la segretezza assoluta sul disastro, che infatti emerse solo 28 anni dopo l'evento.

Misteri sull'incendio del sottomarino nucleare Russo

Secondo il ministero degli esteri russo, «L'incendio che si è innescato ieri a bordo del sottomarino nucleare russo Yekaterinburg, tirato a secco in un cantiere navale a Rosliakovo (regione di Murmansk, nord-ovest della Russia), non ha provocato rischi di contaminazione radioattiva.

Il reattore del sottomarino era stato spento prima dell'inizio dei lavori di riparazione. Non c'è alcuna minaccia di contaminazione radioattiva. Una parte dell'equipaggio è rimasta a bordo per controllare regolarmente (ogni 30 minuti) la situazione nel sottomarino e negli immediati dintorni. Inoltre, il livello di radiazioni, che resta nella norma, è controllato nell'insieme della regione di Murmansk, in 59 stazioni terrestri e in 25 postazioni mobili».

La versione dell'equipaggio operante dentro il sottomarino durante e dopo l'incendio stride però con quanto dice il ministero degli esteri nel suo stesso comunicato: «L'incendio è stato messo "sotto controllo" i pompieri continuano ad innaffiare lo scafo per evitare ogni rischio di ritorno di fiamma».

Secondo il portavoce della Flotta del nord della Russia, Rank Vadim Serga, l'incidente, scatenatosi dal legname delle impalcature e che non avrebbe interessato l'interno dello scafo, non ha fatto né morti né feriti. Ma fonti riferite da Bellona, una Ong scientifico/ambientalista norvegese-Russa. dicono che «Da 9 a forse 19 persone sono state portate in un ospedale navale con ustioni e ferite, ma non è ancora chiaro se il fuoco sia stato completamente estinto».

La versione delle impalcature bruciate non rende giustizia al gigantesco incendio e all'enorme pennacchio di fumo che mostrano foto e riprese televisive a Roslyakovo, a 1.500 chilometri a nord di Mosca, ed al fatto che siano stati impegnati anche elicotteri per spegnere le fiamme che secondo testimoni si alzavano per 10 metri sullo scafo in avaria. Probabilmente la colonna di fumo nero e le fiamme così alte sono anche dovete al fatto che lo scafo esterno dei sottomarini russi più moderni è ricoperto di gomma, per renderli meno rumorosi e più difficile da rilevare da perte del "nemico".

La Reuters, citando i media di Murmask, scrive che sono stati i civili allarmati dalla colonna di fumo, e non la Marina Militare, ad avvertire gli uffici del ministero per le emergenze. Alcuni ufficiali militari hanno detto al sito lifenews.ru, che alla fine per spegnere l'incendio si è dovuto sommergere il sottomarino ancora in fiamme e anche Itar Tass conferma questa versione: «L' Yekaterinburg è stato sommerso alle 10, 35». La cosa strana e che dispacci ufficiali successivi dicevano che l'incendio era ancora in corso.

Bellona afferma che «Coloro che sono stati portati al vicino ospedale navale in Severomorsk con ustioni e per inalazione di fumo erano membri dell'equipaggio del sottomarino così come i lavoratori del cantiere. Secondo Itar Tass, i lavoratori erano sul molo, e non a bordo del sottomarino, quando sono stati feriti».

I primi rapporti ufficiali (poi smentiti dal ministero degli esteri) parlavano di 9 persone finite in ospedale, ma su vKontatke, il social network russo simile a facebook, i parenti dei lavoratori del cantiere sono unanimi nel dire che ci sono stati 19 feriti fra l'equipaggio e i lavoratori del cantiere che sono in cura.

Anche la sede locale del ministero dei servizi di emergenza ha confermato che alcuni membri dell'equipaggio erano a bordo del sottomarino quando è avvenuto l'incendio. Ma il ministero della difesa si è addirittura rifiutato di dire quanti membri dell'equipaggio fossero a bordo. Ha solo detto che tutte le armi erano state rimosse dal sottomarino prima di entrare in bacino. Ma secondo altri media di Murmansk a bordo ci sono ancora 12 siluri e 16 missili. Il K-84 Yekaterinburg è uno dei 7 sottomarini nucleari russi della classe Delta-IV in servizio nella Flotta del Nord, ha una stazza di 18.200 tonnellate ed è stato realizzato nel 1985, ai tempi dell'Unione Sovietica, può trasportare 16 missili balistici intercontinentali.

giovedì 29 dicembre 2011

Incidente di Three Miles Island

Anno di costruzione: 1968-1974 (Unità 1)
                                1969-1978 (Unità 2)

Anno di produzione: 1974 (Unità 1)
                                1978 (Unità 2)

Anno di chiusura: 1979 (Unità 2 causa incidente)

La centrale nucleare di Three Mile Island è un impianto situato sull'isola omonima lungo il fiume Susquehanna sul territorio della township di Londonderry a sud di Harrisburg, capitale dello Stato della Pennsylvania, USA.

L'incidente all'unità 2 avvenne esattamente alle ore 4:00 di mercoledì 28 marzo 1979, quando il reattore era a un regime di potenza del 97%. L'incidente ebbe inizio nel circuito di refrigerazione secondario, con il blocco della portata di alimentazione ai generatori di vapore. Questo blocco portò nel circuito primario di raffreddamento del nocciolo ad un considerevole aumento della pressione del refrigerante, causando prima l'apertura di una valvola PORV di rilascio posta sul pressurizzatore e poi lo "SCRAM" (arresto di emergenza del reattore mediante l'inserimento delle barre di controllo). A questo punto la valvola di rilascio non si richiuse e gli operatori non si resero conto del problema, anche perché non vi era nella strumentazione l'indicazione della reale posizione della valvola. Fu così che il circuito di raffreddamento primario si vuotò parzialmente e il calore residuo del nocciolo del reattore non poté essere smaltito. A causa di ciò il nocciolo radioattivo subì gravi danni. Gli operatori non poterono diagnosticare correttamente cosa avveniva e reagire in maniera adeguata. La strumentazione carente della sala di controllo e l'addestramento inadeguato risultarono essere le cause principali dell'incidente.
Durante l'incidente si ebbe una pericolosa fusione parziale del nocciolo e in conseguenza dei gravissimi danni riportati l'unità 2 fu chiusa ed è ancora oggi sotto monitoraggio, in attesa delle future azioni di smantellamento.

Entro i 10 secondi dall'arresto SCRAM, la valvola di rilascio si sarebbe dovuta richiudere. Ciò non avvenne e ci fu una perdita di refrigerante, classificabile come incidente di perdita di refrigerante da piccola rottura (Small Break LOCA). Gli operatori ritennero, erroneamente, che la PORV si fosse chiusa, dato che era stato inviato il comando di chiusura alla valvola stessa. Tuttavia non vi fu un reale riscontro della chiusura della valvola.
Per rispondere alla perdita di refrigerante, le pompe ad alta pressione dei sistemi di refrigerazione di emergenza automaticamente iniettarono acqua nel circuito primario, che contemporaneamente continuava a perdere refrigerante dalla PORV aperta. In questo modo però la pressione del circuito primario rimase alta, insieme al livello nel pressurizzatore, mentre il livello nel nocciolo del reattore continuava a scendere. In un reattore PWR la pressione dell'acqua è molto importante, dato che viene mantenuta a livelli elevati per impedirne l'ebollizione; d'altro canto, il livello dell'acqua nel pressurizzatore è altresì fondamentale per il controllo del reattore: un livello troppo elevato nel pressurizzatore non permetterebbe il controllo della pressione del sistema che tenderebbe ad aumentare, causando la rottura del sistema di raffreddamento.
Gli operatori risposero riducendo il flusso dell'acqua del sistema di emergenza ad alta pressione. Il loro addestramento prevedeva che il livello d'acqua del pressurizzatore fosse l'unica indicazione attendibile della quantità di acqua di raffreddamento nel sistema. Poiché il livello del pressurizzatore stava aumentando, pensarono che il primario fosse troppo pieno di acqua. Il loro addestramento prevedeva che il primario non fosse pieno al 100%, pena la perdita di controllo della pressione nel sistema.
Il vapore prima e l'acqua dopo, venivano raccolti in un serbatoio di drenaggio. Quando questo raggiunse la pressione di 13 bar, il disco di rottura si ruppe. A questo punto l'integrità del circuito primario venne persa. Parte dell'acqua cominciò a riversarsi nel sistema di contenimento e venne asportata automaticamente dalle pompe di drenaggio, inviando il liquido agli edifici ausiliari non progettati per accogliere fluidi contaminati.

A seguito della diminuzione della pressione si formò del vapore nel sistema di refrigerazione primario del reattore. La presenza di vapore provocò forti vibrazioni nelle pompe (cavitazione). Poiché le vibrazioni avrebbero potuto danneggiare le pompe e renderle inutilizzabili, gli operatori decisero di fermarle. Ciò determinò un surriscaldamento del nocciolo del reattore (gli operatori ritenevano il sistema di raffreddamento pieno di acqua a causa dell'indicazione di alta pressione nel circuito). Tuttavia, poiché l'acqua del refrigerante del reattore evaporò a causa della diminuzione della pressione, ed inoltre veniva persa dalla PORV aperta, il nocciolo del reattore rimase scoperto, con il risultato che si surriscaldò ulteriormente. Le barre di combustibile si danneggiarono e il materiale radioattivo in esse contenuto contaminò l'acqua del circuito primario.
Alle 6:22 gli operatori chiusero la valvola di blocco fra la valvola di sfiato ed il pressurizzatore. Questa azione arrestò la perdita del refrigerante. Tuttavia, la presenza del vapore e dei gas surriscaldati impedì il regolare eflusso di acqua attraverso il sistema di raffreddamento del reattore.
Durante la mattina, gli operatori tentarono di aumentare la portata di acqua nel sistema di raffreddamento del reattore per condensare le bolle di vapore che impedivano il regolare flusso di acqua di raffreddamento. Nel pomeriggio, gli operatori tentarono di abbassare la pressione nel sistema di raffreddamento per tentare di stabilizzare la situazione.
Alla sera, gli operatori iniziarono ad iniettare acqua ad alta pressione nel sistema di raffreddamento del reattore per aumentare la pressione e per ridurre le bolle di vapore ed idrogeno. Alle 19:50 del 28 marzo, la refrigerazione forzata del reattore fu ristabilita. Avevano condensato il vapore in modo che le pompe potessero funzionare senza vibrazioni eccessive.
I gas radioattivi dal sistema di raffreddamento del reattore si erano accumulati nella parte superiore del Vessel (il primo contenitore del nocciolo del reattore).
L'idrogeno accumulato, essendo estremamente leggero, si era raccolto nella parte alta del reattore. Dal 30 marzo al 1º aprile gli operatori rimossero periodicamente l'idrogeno aprendo la valvola di sfiato sul pressurizzatore del sistema di raffreddamento del reattore. Per un certo tempo, i funzionari dell'ente di controllo (NRC) pensarono che la bolla di idrogeno potesse rappresentare un pericolo di esplosione, con evidenti effetti disastrosi sull'integrità del sistema di contenimento.

mercoledì 28 dicembre 2011

La Chernobyl Italiana "Garigliano"

Anno di costruzione: 1959-1964
Anno di produzione: 1964-1982
Anno di chiusura: 1982

La Cernobyl italiana
I pericoli oggi sembrano scongiurati. Ma una ventina di anni fa alla centrale nucleare del Garigliano successe qualcosa. Mettendo a rischio un vasto territorio, dal Volturno al Circeo. Non molti lo sanno. Ma è possibile che ci sia stata anche una Cernobyl italiana. Una ventina di anni fa, nell’area del Garigliano.

La situazione OGGI
Tutto questo richiama in prima battuta quel rilascio di radionuclidi registrabile ancora oggi nelle aree incriminate (soprattutto Cesio-137). Anche se il tutto avviene in una misura che tanto l’esercente Enel quanto l’Anpa giudicano insignificante. Soprattutto considerando che in merito si tende non solo a rispettare il livello consentito di dosi rilasciate, il che equivarrebbe a compiere una scelta minimalista del tipo "facciamo il minimo indispensabile" quanto ad utilizzare in definitiva la migliore tecnologia esistente, in nome di un unico obiettivo: ottimizzare. Posizioni queste, fortemente ribadite dal capo del Dipartimento rischionucleare dell’Anpa, Roberto Mezzanotti. Il quale oltretutto rileva «come nell’individuazione del parametro adottato per le dosi massime non si è sottovalutata la potenziale concomitanza di altre fonti di contaminazione cui gli individui possono essere esposti nell’area». Ma se questo sarebbe l’oggi, dove per Mezzanotti «il problema più attuale resta quello della gestione dei rifiuti radioattivi e della sicurezza dei lavoratori addetti» (con relativa problematica del raffreddamento delle scorie), rimane il grosso punto interrogativo di quello che può essere accaduto in passato e nel corso di tutti questi anni in aree come quella del Garigliano, considerati oltretutto i tempi lunghi legati alla contaminazione da nucleare. «Con il grave sospetto anzi, riprende Cristaldi, di un’attenzione sui controlli che negli ultimi anni sembrerebbe essere scemata. Mentre la gran parte dei rilevamenti, di pertinenza dell’ente gestore, l’Enel, non appaiono in grado di fornire gli elementi necessari per sapere con certezza quale sia l’attuale stato di salute della zona. Anche perché ci sarebbe ancora chi parte dal falso postulato che, una volta chiusa la centrale, il problema sia in gran parte risolto.»

La situazione negli anni ’80
Da qui il ritorno a bomba a ieri e alla "Cernobyl di casa nostra". Che è la Madre di tutti i timori di contaminazione. Nell’occhio del ciclone l’area posta tra il Volturno e il Garigliano e che si estende tra le province di Latina, quella di Caserta e l’Abruzzo. Si tratta di quello stesso entroterra che si apre sul mar Tirreno con il golfo di Gaeta ed il promontorio del Circeo. Mare frequentatissimo d’estate... E sul quale, anche su questo, si apre l’ennesimo giallo. L’ambientazione si pone nell’anno 1983. Fu infatti allora che una lettera firmata da un tecnico dell’Enea e da altri due colleghi fu fatta recapitare all’avvocato Tibaldi di Formia (per via inusuale), senza nessuno scritto di accompagnamento e del tutto anonima. Nella lettera, che avrebbe dovuto circolare solo all’interno delle strutture preposte, si faceva riferimento alla necessità di considerare con attenzione lo stato di salute di quei 1.700 km2 di mare compresi tra il Volturno ed il Circeo e nei quali si sarebbe nel frattempo registrato un preoccupante livello di contaminazione da Cesio-137 e Cobalto-60. Tale da riconsiderare i rischi di balneazione, di inquinamento dei fondali e la sospetta tossicità di prodotti ittici e mitili (questi ultimi sono dei forti riconcentratori di scorie) provenienti dall’area. Mentre si richiedeva altresì un veloce intervento con apposite campagne radioecologiche. Tenendo conto infine del particolare effetto delle correnti, tali da portare il particolato lungo la penisola di Gaeta. Tutto scongiurato? «Il rischio non è azzerato, precisa Cristaldi, ed espone in modo particolare il personale residente nell’area, i pescatori e chi si alimenta di pescato.» Comunque, della lettera che avrebbe dovuto spingere gli amministratori locali a ben altra vigilanza, non si sarebbe avuta notizia senza lo strano giro che la portò nelle mani di Tibaldi. Operazione a cui fecero seguito prima le querele e poi l’assoluzione in istruttoria dello stesso avvocato di Formia sancita dal pretore di Sessa Aurunca. Insomma nessun reato di diffamazione a suo carico.

Il "CASO GARIGLIANO"
Ma c’era stato davvero un "caso Garigliano" tale da consigliare misure più rigorose di controllo e di intervento e che invece in buona misura mancarono? Nonché tali da preoccupare ancora per l’oggi, ad oltre vent’anni di distanza? I numeri di allora, «mentre quelli di oggi sono caratterizzati da una totale mancanza sul piano epidemiologico da non potersi escludere una colpevole sottovalutazione del rischio permanente» dice ancora Cristaldi che ricorda ancora come il collega Mastroiacomo dell’Università Gemelli tempo fa gli abbia segnalato l’impossibilità di continuare il monitoraggio sull’area, visto il totale esaurimento dei fondi sono di per sé eloquenti. Come quelli ufficiali emersi da un’inchiesta del 1981 sulle malformazioni congenite registrate nei vitelli allevati nella zona contigua alla centrale. E che segnalano un sospetto intensificarsi di malformazioni genetiche a partire dagli anni 1964/65 (perfetta coincidenza con l’apertura della centrale), con casi di ermafroditismo e anchilosi. Fino ad arrivare, nella sola fascia S.Castrese-Sessa Aurunca, ad una preoccupante percentuale del 3%. Il tutto accompagnato per intanto dalla chiusura della centrale in seguito al verificarsi di una serie di incidenti. «Avvenimenti sui cui effetti 10 anni dopo non esistevano studi specifici», puntualizza Tibaldi. Né più rassicurante appare il dato relativo alle malformazioni genetiche registrate sui neonati (19,57 %. nel 1984) e raccolto e archiviato ufficialmente dalla Usl Latina-6 di Formia, con casi di bambini anencefali registrati all’Ospedale di Minturno o il ciclopismo del I semestre ‘84 presso l’Ospedale Civico di Gaeta. Scenario infine reso ancora più cupo dai dati Istat del settennio ‘72-’78 sulla mortalità per tumore e leucemia nella piana del Garigliano, spaventosamente attestato sul 44,48% (21,63 in tutta la provincia di Latina) contro una media italiana di poco superiore al 7%. Ora, è vero che nel dicembre del 1987 gli elementi di combustibile irraggiato sono stati completamente trasferiti dal Garigliano presso l’impianto di fabbricazioni nucleari "Avogadro" di Saluggia riducendo all’1% la quantità residua di radioattività presente nell’impianto, ma non per questo il rischio nell’area può dirsi del tutto debellato. «Intanto perché, precisa ancora Cristaldi, non è un indicatore sufficiente per la sicurezza dell’area la riduzione della radioattività presente sull’impianto e poi perché sono le radiazioni di media e bassa attività quelle maggiormente indicative ed attive.» Cosicché mentre Tibaldi continua a tutt’oggi a denunciare casi di malformazioni "certificate" nell’area e a ricevere frequenti segnalazioni di casi analoghi, Cristaldi continua con forza a mettere in guardia da quanto «non risulterebbe in modo evidente sul fronte cancero-genetico e avrebbe quindi spinto ad abbandonare la ricerca epidemiologica in loco. Perché, conclude, il dato è meno controllabile e più facilmente confondibile di quanto si creda. Ma non per questo deve spingere a restare inerti ». Enzo Cilento Istituto Superiore di Sanità.. Niente allarmismi :sui possibili rischi All’Istituto Superiore di Sanità sono contrari a qualsiasi forma di allarmismo. In primo luogo il dottor Eugenio Tabet, dirigente di ricerca dell’Istituto. «Non va dimenticato, esordisce infatti, che fin dall’atto di autorizzazione concessa alle nostre centrali, erano specificatamente previsti un programma ed una rete di sorveglianza ambientale sufficientemente rassicurante. Con controlli periodici e sistematici che, so per certo, vengono ancora compiuti. Come accade in Emilia, a Caorso, e in generale ovunque, almeno in Europa Occidentale.» Da qui, secondo Tabet, la mancanza di rilevazioni e dati epidemiologici "scientifici" nelle aree specifiche «anche perché, aggiunge, a meno che non si verifichino incidenti, le centrali non liberano che quantità di radioattività ridotte ed a così modesto raggio da non dover preoccupare più di tanto. Considerando oltretutto che dovunque e comunque le dosi di radiazioni cui sono esposti gli esseri umani non sono mai uguali a zero». A chi del resto gli oppone cifre preoccupanti sull’insorgenza di patologie leucemiche e tumorali nelle aree nuclearizzate, Tabet risponde con un invito alla prudenza e con il fatto che «i casi di tumore ad oggi sono ovunque numerosi, purtroppo, e in crescita. Il che può facilmente mascherare e nascondere qualsiasi connessione causale tra presenza del sito nuclearizzato e crescita dei fenomeni patologici». Del resto anche l’Istituto superiore di sanità il suo appello lo ha lanciato. «Siamo stati tra i primi infatti ad aver sollevato il problema della "decommisioning". Noi e i radioprotezionisti. E anche se siamo contrari a qualsiasi clima apocalittico, chiediamo da tempo che si intervenga in merito. Il che, come suggeriscono anche le ultime mosse del ministro Bersani, mi sembra che stia avvenendo. Certo, suggerirei di intervenire con tempestività cercando intanto di tamponare la situazione. Magari prendendo in considerazione l’opportunità di utilizzare i siti nucleari già esistenti, riqualificandoli in depositi secondo le tecniche più sicure attualmente a disposizione.» Garigliano: La testimonianza dell’avvocato tibaldi.


RADIAZIONI PERICOLOSE
Naturale tendenza dei radionuclidi è entrare nei processi della crescita e nella catena alimentare concentrandosi fortemente negli organismi viventi. Mentre non vanno sottovalutati imprevedibili effetti sinergici con altri agenti nocivi: dalle altre installazioni produttive ai pesticidi.


I radionuclidi pericolosi
Il Trizio, che si sostituisce all’idrogeno dell’acqua.Il Cesio-137, che si concentra nei muscoli. Lo Stronzio-90, che si sostituisce al calcio nelle ossa e nel midollo. Il Cobalto-60, che tende invece ad accumularsi nei visceri. Senza contare i radionuclidi del Plutonio e quegli altri che, emessi a bassissime concentrazioni di partenza, poi tendono a concentrarsi negli organismi viventi. Nel latte (I-131), nel sangue e nel pescato (Fe-59 e P-32). Con tanto di frequenti mutazioni indotte nelle cellule germinali. EFFETTI DELLE PICCOLE DOSI Se in passato la comunità scientifica ha sempre rassicurato circa i danni da radiazioni in "piccola dose" di centrali e centri di ricerca, da qualche anno sono sotto accusa anche le emissioni di "piccole dosi". Queste, frazionate nel tempo, provocano processi riparativi soggetti ad errori da parte delle cellule che hanno ricevuto la piccola dose. Così la rottura del Dna passa inosservata e viene trasmessa all’organismo come "naturale". Da qui rallentamento nella crescita, diminuzione di difese immunitarie e di resistenza alle sostanze tossiche, minor tempo di vita, insorgere di tumori anche a grande distanza cronologica dal periodo di somministrazione.

RADIAZIONI DI "SCARICO"
In ogni caso le centrali nucleari, anche a regime normale, emettono radiazioni ionizzanti che vengono espulse dal camino della centrale. Pur in presenza di appositi filtri. Il camino nucleare della centrale del Garigliano in funzione, per esempio immetteva nell’atmosfera 120.000 metri cubi di effluvi aeriformi ogni ora. Si trattava di vapori trattati da filtri posti alla base del camino. Filtri efficaci al 99,97%, secondo fonti Enel ed Enea. Mentre il restante 0,03% veniva espulso in stato di non purificazione. Per un volume globale di 36 metri cubi di sostanze radioattive aeriformi liberate nell’ambiente circostante ogni ora. Metri cubi che ovviamente diventano milioni se si moltiplicano per i 15 anni (1964-1978) in cui la Centrale è stata attiva. Il Centro di ricerca della Casaccia (una ventina di chilometri a Nord di Roma) viaggia invece a 90.000 metri cubi l’ora.

lunedì 26 dicembre 2011

Il disastro nucleare di Fukushima

FUKUSHIMA = PIÙ DI 50 CHERNOBYL


FUKUSHIMA = 3 MILA MILIARDI DI VOLTE IL DOSAGGIO RADIOATTIVO LETALE


Ecco ciò che è noto a 75 giorni dall’evento, dopo che i sei reattori della centrale nucleare di Fukushima Daiichi hanno iniziato un letale meltdown nucleare l’11 marzo 2011.

- 11 marzo 14:46,Un terremoto da 1 milione di chilotoni e di magnitudo 9 della scala richter ha fatto tremare le coste del Giappone in prossimità dei sei reattori di Fukushima. Appena i sensori rilevarono il sisma i reattori tentarono di spegnersi da soli. L’enorme terremoto ha fatto crollare i reattori di 3 piedi, ha spostato il Giappone di 8 pollici verso Occidente e modificato l’inclinazione dell’asse del pianeta Terra.

- 11 marzo, circa le 15:30, il precedente terremoto ha dato origine ad un gigantesco tsunami con onde di 30 metri (98,4 ft) mandando in avaria i generatori di emergenza delle centrali. Con questo i reattori subiscono il colpo di grazia.

I sei reattori erano in una fase di stallo. Senza una fonte esterna di elettricità per le pompe dell’acqua che servivano a raffreddare i reattori, la centrale era in grosso pericolo. La temperatura interna dei reattori iniziò subito a salire.

- 11 marzo, circa le 18:00, solo due ore e mezzo dopo, alcuni dei nuclei iniziarono il processo di meltdown, data la temperatura estrema che superò di gran lunga il punto di fusione dell’uranio. Una misurazione effettuata riporta 1.718 gradi C (3,124.4 F Deg).

L’uranio fonde a 1,132.2 gradi C (2,069.9 Deg F.) Le temperature del reattore interno raggiunsero almeno i 2.850 gradi C, (5.162 gradi F.) I milioni di pellet di combustibile da 1 mm di uranio nei reattori e nelle piscine non ebbero possibilità di rimanere sicuri senza le pompe per l’acqua che costantemente raffreddavano i reattori.

L’uranio in pellets si è semplicemente sciolto formando una sostanza tipo lava bianca calda radioattiva, che viene probabilmente, super riscaldata ulteriormente dalla potenza dell’atomo di uranio stesso. La sostanza altamente radioattiva ha poi bruciato le guarnizioni di grafite del General Electric Mark 1 Reactor Control Rods nella parte inferiore del reattore sottomarino progettato dall’ammiraglio Hyman Rickover della US Navy, ora deceduto.

Il disastro di Chernobyl

RADIOATTIVITA' DISPERSA:
la stima minima e di 90 milioni di curie, circa 100 volte l'inquinamento radioattivo prodotto dalle bombe di Hiroshima e Nagasaki.
RADIAZIONI GAMMA:
sul luogo dell'incidente la radiazione gamma ha suprato i 100 roentgen per ora, una quantita centinaia di volte superiore alla dose massima annua consentita dalla Commissione internazionale per la protezione radiologica.
TERRITORIO CONTAMINATO:
260.000 kmq in Ucraina, Bielorussia e Russia hanno ancora oggi una emissioni di radioattivita superiore ad 1 curie per kmq a causa del cesio-137 disperso.

SCORIE:
 nel reattore c'e ancora una radioattivita pari a 20 milioni di curie; nella regione ci sono 800 siti dove sono sepolti materiali radioattivi.
RISCHIO FUTURO:
sono tuttora in funzione 15 reattori come quello esploso 10 anni fa. Per chiudere Chernobyl l'Europa si e impegnata a versare 4.800 miliardi all'Ucraina.

Il 26 aprile 1986, nella centrale di Chernobyl, a 120 chilometri da Kiev (Ucraina), alle ore 1 e 23, il reattore 4, in funzione da appena due anni e mezzo, esplodeva durante un esperimento per vedere quanto a lungo i generatori potessero funzionare senza essere alimentati. Chernobyl e la vicina citta di Pripjat furono investite da esalazioni gassose e da una pioggia di materiali roventi (6-7 tonnellate), fortemente radioattivi.
In Italia le nubi radioattive contaminano maggiormente le regioni settentrionali spargendo i loro radionuclidi, di cui sussistono ancora soprattutto il cesio-137 e lo stronzio-90. A Chernobyl, gli effetti dell'esplosione (che fu di natura chimica e non atomica) e del successivo incendio sono devastanti.
La radioattivita dispersa dal reattore di Chernobyl ha contaminato gravemente 2225 centri abitati sparsi su una superficie di 25.000 chilometri quadrati, in Bielorussia, Russia e Ucraina. Ovviamente, la contaminazione ha interessato non solo gli abitanti (circa 825. 000) ma anche gli animali e le piante degli ecosistemi terrestre e acquatico. A causa del passaggio dei radionuclidi di lunga vita dal suolo e dall'acqua ai produttori primari e da questi ai consumatori primari (erbivori) e secondari (carnivori), anche le catene alimentari riguardanti l'uomo sono state contaminate.

domenica 25 dicembre 2011

Il contatore Geiger

Il cuore del contatore Geiger è costituito da un tubo contenente un gas a bassa pressione (per esempio, una miscela di argon e vapore di alcool alla pressione di 0,1 atmosfere). Lungo l'asse del tubo è teso un filo metallico, isolato dal tubo stesso. Tra il filo e il tubo si stabilisce una differenza di potenziale (sui 1000 volt), attraverso una resistenza dell'ordine del miliardo di ohm.

Il contatore Geiger è una camera a deriva utilizzata nel limite in cui la tensione satura (ovvero in modo che la tensione prodotta dal passaggio della particella ionizzante non dipenda dall'energia rilasciata da questa - e quindi dal numero delle coppie ione-ione prodotte -).
Infatti, quando una radiazione attraversa il tubo e colpisce una delle molecole del gas, la ionizza, creando una coppia ione-elettrone. Ma in questi dispositivi la carica raccolta è indipendente dalla ionizzazione primaria. Infatti oltre alla ionizzazione si hanno fenomeni quali l'eccitazione seguita da emissione di luce visibile e ultravioletta. Una piccola parte di tali fotoni dà luogo ad emissione di fotoelettroni che generano nuova ionizzazione, tramite il processo della moltiplicazione a valanga.
L'impulso elettrico risultante sarà testimone dell'avvenuto contatto con una radiazione ionizzante, e sarà contato da un circuito elettronico (i famosi “click” che si sentono). A seconda del numero di conteggi fatti in un'unità di tempo, riusciamo a capire se siamo in presenza di una sorgente radioattiva, e la sua pericolosità.
Si ricorda che il contatore Geiger non effettua una misura operativa della grandezza esposizione/kerma in aria, ma si limita a mettere in relazione il numero di conteggi con la grandezza dosimetrica. Per questo la sensibilità dello strumento varia significativamente al variare dell'energia della radiazione incidente. L'effetto negativo del tempo morto può esser corretto compensando la risposta via software. È possibile fare ciò solo se è nota la larghezza d'impulso del segnale. Viste le sue ridotte dimensioni, può essere usato anche per dosimetria personale.
La dinamica di questi rivelatori è abbastanza ridotta, a causa del tempo morto durante il quale avviene un conteggio (ordine del millisecondi).

La Radioattività

 La radioattività presente nell'ambiente può essere di natura sia artificiale che naturale: il contributo principale alla dose assorbita annualmente da ciascun individuo deriva dalla radioattività naturale, che è responsabile di circa l'80% della dose totale. Di questa, circa il 30% è dovuta al potassio (isotopo 40K, generato per irraggiamento del potassio naturale dai raggi cosmici che riescono ad arrivare al suolo): il 15% al gas radon emanato dal sottosuolo, il 15% dai materiali da costruzione e il 13% (al livello del mare) dalla radiazione cosmica. Più si sale in quota, più la radiazione cosmica aumenta, perché si assottiglia lo strato di aria che ne assorbe la maggior parte: a 5500 metri di altitudine la dose annuale assorbita sale a circa il doppio di quella al livello del mare.
Il potassio 40 è responsabile di quasi tutta la radioattività naturale presente all'interno del corpo umano.
Le fonti artificiali (o tecnologiche) sono principalmente legate all'impiego dei radioisotopi in medicina a scopo diagnostico (scintigrafia) o terapeutico (Brachiterapia, cobaltoterapia, Terapia radiometabolica)
Esistono tre forme distinte di radioattività classificate per modo di decadimento: sono i raggi alfa, i raggi beta e i raggi gamma. A queste tre forme si aggiungono i neutroni liberi derivanti dalla fissione spontanea degli elementi più pesanti. Ognuno di questi tipi di radioattività ha proprietà e pericolosità diverse. La tabella elenca le forme di radioattività, le particelle coinvolte, la distanza percorsa, la capacità di provocare fissione e trasmutazione.

I decadimenti Alpha, Beta e Gamma

 Decadimento BETA

In fisica nucleare il decadimento β è un tipo di decadimento radioattivo ovvero uno dei processi o reazioni nucleari spontanee attraverso le quali nuclidi instabili (e dunque radioattivi) si trasformano in altri nuclidi di elementi chimici a numero atomico diverso, che possono a loro volta essere radioattivi (continuando a decadere) oppure stabili, con emissione di altre particelle subatomiche ionizzanti secondo il principio di consevazione della massa/energia. Nel processo sono coinvolte le cosiddette forze nucleari deboli.

Decadimento ALPHA

In fisica nucleare il decadimento alfa è un tipo di decadimento radioattivo ovvero un processo per cui atomi instabili (e dunque radioattivi) si trasformano (trasmutano) in atomi di un altro elemento a numero atomico inferiore, che possono a loro volta essere radioattivi continuando a decadere oppure stabilizzarsi. Il processo è accompagnato dall'emissione di radiazioni ionizzanti.

Decadimento GAMMA

In fisica nucleare i raggi gamma (spesso indicati con la lettera greca minuscola gamma, γ) sono una forma di radiazione elettromagnetica prodotta dal cosiddetto decadimento gamma o da processi nucleari o subatomici consistenti dunque nell'emissione di fotoni ad alta energia.

Fallout Nucleare

Il fallout di una esplosione nucleare, detto anche ricaduta radioattiva, è il materiale coinvolto nell'esplosione, reso radioattivo e lanciato in aria fino al limite della troposfera, 12 km di quota, che ricade sotto forma di cenere e pulviscolo.
La ricaduta del materiale nella zona dell'esplosione (fallout primario) inizia entro pochi minuti con i detriti e le polveri più pesanti; il materiale più fine scagliato in aria viene trasportato dal vento e inizia a ricadere da una a due ore dopo (fallout secondario). La coda del fallout secondario può allungarsi per decine di chilometri per le esplosioni più potenti; in genere il materiale radioattivo continua a cadere per un tempo che va da sei a trenta ore. La forma e la lunghezza della coda del fallout secondario dipendono molto dall'andamento dei venti negli strati superiori dell'atmosfera. Se i venti cambiano direzione con la quota, la coda può assumere una forma curva.
I primi materiali a ricadere sono anche i più radioattivi: la pericolosità del materiale in ricaduta è massima all'inizio del fallout e si attenua col tempo man mano che decadono gli isotopi radioattivi con emivita più breve. Dopo circa 48 ore il livello di radioattività dei materiali raggiunge un valore stabile e smette di diminuire. Gli eventuali sopravvissuti devono quindi abbandonare la zona sottovento all'esplosione il più rapidamente possibile, o altrimenti cercare subito un rifugio, possibilmente un bunker sotterraneo, in cui trascorrere almeno i successivi due giorni.
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